IL CORO LA ROCCA
DA GAGGIO ALLA POLONIA


Cronaca di un viaggio memorabile che ha portato i coristi di Gaggio
in alcuni dei luoghi più famosi santi e tragici della Polonia,
creando un vincolo di amicizia con la gente polacca.



di STEFANO DONINI


IL VIAGGIO

L'orario di partenza è decisamente insolito, sono le 20.30 del due gennaio 2001. Non è freddo ma piove e molti decidono di caricare sul pullman, fermo in piazza, oltre ai bagagli anche l'ombrello che li ha accompagnati fino lì. La comitiva è formata da noi coristi del coro "La Rocca"di Gaggio Montano e da molti amici e familiari. Siamo cinquantuno e stiamo partendo per un viaggio di oltre 1200 chilometri che ci porterà a Tychy, cittadina polacca posta nelle vicinanze di Katowice. Il Maestro ]anusz Muszynski è il direttore della corale "Pro Arte Ecclesiastica" ed uno fra gli organizzatori di una manifestazione che ormai da dieci anni si tiene a Tychy e che ha visto esibirsi nei suoi teatri e nelle sue chiese diversi cori e corali nazionali ed esteri. Il maestro è venuto a conoscenza del coro "La Rocca" e del suo repertorio popolare grazie all'amicizia col nostro corista Stefan Gwiazda, originario della zona, che ha avuto la splendida idea di inviargli una copia del c d che abbiamo inciso due anni fa. Il coro "La Rocca" è stato invitato per l'occasione e avrà l'onore di aprire la manifestazione che si svolgerà dal sei al quattordici gennaio 2001. Grazie al Maestro e alla signora Teresa Krayewska, che ci ha poi accompagnato nelle visite, è stata organizzata la nostra permanenza in Polonia avviando nel con tempo il gemellaggio fra la municipalità di Tychy e quella di Gaggio Montano. Ma ritorniamo alla nostra partenza.
Tutti i partecipanti sono saliti, anche Nicolò è al suo posto e capirete poi l'importanza di questa precisazione; Antonio Guarino, presidente del coro, con la lista in mano percorre il corridoio contandoci e, terminata la conta, dà a Marcello, l'autista, il via libera e si parte.
Dormire in pullman è difficile, i posti sono sacrificati, non tutti sono dell'idea di provarci anche perché nessuno ancora accusa stanchezza. Comunque al mattino dopo, alle 7.30, quando scendiamo dal pullman nei pressi del palazzo municipale di Vienna, ci sembra molto più freddo di quello che è; camminare sentendo gambe e schiena intorpidite è faticosissimo e poi, tanto per gradire, ricomincia a piovere. Comunque tutti siamo molto affamati e, aperto il baule, si stappano bottiglie di vino, anche di acqua, poche; dagli scatoloni cominciano ad uscire crescentine ripiene e panini preparati il giorno prima. White, ovvero Giancarlo Battistini, dimostra di essere attrezzatissimo ed allestisce un mini tavolinetto sul quale affetta salume, pane e apre crescentine. Piove sempre ma tutti, in piccoli gruppi sotto gli ombrelli, iniziamo a passeggiare per la città che si sta animando. Vienna è molto bella ma sia per la fretta (abbiamo poco tempo per la sosta) che per il maltempo nessuno riesce ad apprezzarla come dovrebbe essere e, almeno per me, è stato come vedere delle immagini fuggevoli che hanno stimolato il desiderio di approfondirne la conoscenza.
Al confine con la Repubblica Ceca, a Mikulov, la sosta causata dalle lungaggini burocratiche ci ha fatto perdere più di due ore. Alla prima area di sosta che incontriamo ripetiamo il pic nic come a Vienna con la differenza che quì è molto più freddo. Piccinino, ovvero Franceschini Mario, ha portato del pane fatto in casa che è una delizia; il freddo comunque non aiuta e io come altri, temiamo che ci bloccherà la digestione. Per questo prendiamo d'assalto il negozio dell'area di servizio. Per fortuna accettano le lire italiane e tante bottigliette di vodka trovano altrettanti acquirenti; sono state vuotate in fretta creando nella parte di coda del pullman una buona atmosfera tanto da portare qualcuno ad intonare qualche canto. Ce lo aspettavamo e Gnogno, Giorgio Gandolfi, intona il suo cavallo di battaglia, "saltai sù dal piragnà-gnà", canzone dalle parole poco chiare e dalle origini sconosciute ma che tutti ripetono a memoria.
E' buio ormai quando arriviamo alla frontiera con la Polonia; ancora lungaggini burocratiche ma per fortuna dopo meno di un'ora riprendiamo il viaggio. Oltre il finestrino il paesaggio scorre indistinto, solamente le luci dei paesi segnano il buio. Ormai dovremmo essere quasi arrivati. Illuminate da potenti fari, compaiono un numero imprecisato di Fiat Seicento allineate ordinatamente nei grandi parcheggi dello stabilimento polacco della Fiat Siamo arrivati perché lo stabilimento è posto proprio nelle vicinanze di Tychy.

Un piccolo contrattempo e la stanchezza creano disappunto; nell'albergo che ci avrebbe dovuto ospitare è saltato l'impianto di riscaldamento per cui veniamo dirottati in un altro albergo che non è preparato ad accoglierci e per questo perdiamo molto tempo per sistemarci. Questo albergo, inoltre, non può fornirci la cena, per cui di nuovo sul pullman e via verso il motel Lesny; che dista alcuni chilometri, per cenare. Si vede che qui si erano preparati e la sala da pranzo è accogliente e ben riscaldata anche se solamente con stufette d'emergenza. Siamo tutti stanchi ed affamati e apprezziamo la cena, in particolare l'ottima birra.
Tanto per non.perdere l'abitudine, terminate le poche chiacchiere del dopo cena, di nuovo sul pullman e poi a letto. Dove siamo ospitati, prima di essere trasformato in albergo era un condominio: le camere sembrano ricavate da mini appartamenti. Sicuramente siamo in una zona non turistica o almeno non ancora e le strutture d'accoglienza sono più rivolte ad ospitare addetti al trasporto e al commercio di passaggio. Siamo già seduti in pullman, pronti per andare a colazione e lì incontrare la signora Teresa che ci accompagnerà durante la giornata. Manca qualcuno? Certo, ma ecco li scendere le scale dell'albergo, sono Nicolò e Adriana, la sua compagna, un po' in ritardo ma per niente preoccupati per gli sguardi severi della maggior parte di coloro che, puntuali, li stanno aspettando.
la giornata si preannuncia bella, un leggero strato di nebbia che sale dal suolo a tratti preclude alla vista il paesaggio. C'è molto verde, grandi boschi e piane che presumo coltivate si stendono a perdita d'occhio subito fuori i grandi agglomerati urbani. In lontananza si vedono però ciminiere di industrie e di centrali termoelettriche. Siamo in una zona mineraria ancora attiva, in particolare per l'estrazione del carbone che qui viene utilizzato sia per il riscaldamento domestico che per la produzione di energia elettrica e così, soprattutto la sera e al mattino, si sente un forte odore di fumo simile a quello che ancora adesso si può sentire, ma in misura assai minore, passando per le vecchie gallerie della ferrovia Porrettana nel tratto che va da Porretta a Pistoia.

LA MINIERA DI SALE

Oggi andiamo a visitare
la miniera di salgemma di Wieliczka, meta turistica di notevole importanza tanto che, per la sua unicità e bellezza, nel 1978 è stata iscritta dall'UNESCO nella lista del patrimonio mondiale per la cultura e la natura. Siamo tutti molto incuriositi per quanto andiamo a vedere, fioccano le domande rivolte a Stefan e a sua moglie Jula che hanno visitato la miniera alcuni anni fa; le loro risposte non attenuano minimamente la curiosità, anzi la accentuano ma ormai è ora di scendere dal pullman, siamo nel parcheggio davanti l'ingresso della miniera, ben identificabile anche da lontano per L'inconfondibile castello metallico che serve all'ascensore che scende in uno dei pozzi e che ci dicono essere ancora quello usato dai minatori del passato e che pure noi utilizzeremo poi per risalire in superficie.
Nell'atrio rimaniamo raggruppati in attesa della guida, alcuni decidono di non effettuare la visita per problemi di claustrofobia. Eccola, è una ragazza bionda molto carina sia come aspetto che come modi, si chiama Caterina; cerca, e in parte riesce, di essere simpatica, forse le viene chiesto da contratto.
Scesi 378 gradini in legno all'interno di un pozzo arriviamo al primo livello di visita ad una profondità di 64 metri. Caterina ci informa sul comportamento da tenere durante la visita e, "come da contratto", sempre in modo molto simpatico ci dice: - Qui è tutto di sale, pavimenti, lampadari e statue, potete controllare se volete, è possibile leccare tutto tranne le statue e la guida -. Una risata scontata ma spontanea risuona fragorosamente nella sala dal basso soffitto. Iniziamo così un percorso che ci porta a visitare varie sale di forma diversa, ora ampie ora piccole e collegate da lunghi corridoi rivestiti di legno; è sempre stato usato il legno anziché il metallo in quanto il primo non viene deteriorato dalla salsedine.
Il giacimento di sale di Wieliczka si è formato circa 18-20 milioni di anni fa quando nella zona c'era ancora il mare che poi, per effetto di movimenti tettonici e modificazioni del clima, lasciò il posto a vaste aree nelle quali avvenne un lento processo di evaporazione e sedimentazione di vari minerali fra i quali il preziosissimo sale (NaCL).
I giacimenti di Wieliczka sono stati scoperti e quindi sfruttati a partire dal tardo medioevo, ma le perforazioni e lo sfruttamento intensivo hanno avuto inizio ne117° secolo; le gallerie che stiamo percorrendo sono di quel periodo. Gli strati di salgemma non si sono depositati in strati uniformi per cui i minatori dovevano procedere per tentativi; quando trovavano un deposito consistente lo scavavano quasi completamente e passavano poi al successivo lasciandosi alle spalle uno spazio vuoto grande quanto il deposito stesso. Il percorso turistico è stato aperto nel 1935 e sempre arricchito di altre sale e attrazioni. I minatori hanno abbellito e caratterizzato ogni sala con statue e ornamenti tutti rigorosamente di sale. Grazie alla sapiente illuminazione, ai nostri occhi si presentano immagini che irradiano trasparenze e riflessi straordinari. La temperatura è gradevole e costante, circa 16°, al contrario di quello che mi aspettavo: per questa ragione e per le particolari caratteristiche dell'aria, un livello della miniera è adibito a sanatorio per curare malattie della respirazione.
Ad ogni sala un'emozione nuova e crescente.

Arriviamo ad un parapetto di legno che guarda verso il buio. Intuisco che qualcosa di spettacolare ci attende; seguendo un copione collaudato, Caterina inizia ad accendere i lampadari che, a poco a poco, aprono alla vista uno spettacolo grandioso. Siamo di fronte alla più grande cappella sotterranea esistente, quella della Beata Kinga alta 12 metri e larga 17; si stima che questo spazio sia stato creato estraendo 22 mila tonnellate di salgemma. Lo spettacolo è stupefacente, tutto appare come in una cappella tradizionale con la meravigliosa differenza che tutto qui è scolpito nel sale. L' acustica è strana ma, secondo Walter Chiappelli, il maestro del coro, sufficientemente buona per poter cantare; ci schieriamo ed eseguiamo alcuni canti. E' la nostra prima esibizione.
A 135 metri di profondità termina il nostro percorso, siamo al terzo livello di scavo; sotto di noi ci sono altri sei livelli dislocati in media ogni trenta metri ma non ancora visitabili.
Pranziamo in un ristorante che è costruito in una grande grotta della miniera; ci sentiamo un po' a Gaggio quando notiamo dietro al bancone del bar e in un corridoio laterale due macchine per il caffè espresso della SAECO. Dopo un tortuoso cammino in gallerie che assomigliano ad un labirinto, arriviamo al pozzo turistico all'interno del quale un ascensore, lo stesso usato in passato dai minatori, ci riporta in superficie. Nessuno di noi era pronto ad un ascensore simile, provo a descriverlo: è più un montacarichi di dimensioni ridottissime che un ascensore come può essere comunemente inteso, inoltre è composto da tre cabine sovrapposte che vengono occupate in successione e così pure, dopo la salita, liberate. Sono strettissime e non illuminate ma almeno salgono molto velocemente. La prima cabina, dopo essere stata occupata, sale quel tanto che basta per permettere l'accesso alla seconda sottostante e così pure per la terza. Quindi i primi a essere entrati hanno dovuto comunque aspettare prima di salire che fossero entrati anche gli ultimi; quelli che si erano affrettati energicamente ad entrare per primi si sono visti un po' beffati. Ma non è finita, arrivati in superficie, l'ascensore si è fermato in corrispondenza della cabina più bassa e ne sono scesi gli occupanti, poi e toccata alle altre due in successione così che i primi ad essere entrati sono stati gli ultimi ad uscire rimanendo a lungo pressati come sardine, al buio e senza capire quello che stava accadendo; beati gli ultimi se.....
L'avventura in miniera è terminata:

CRACOVIA

ora, dopo un breve trasferimento in pullman, raggiungiamo
Cracovia. Prima di raggiungere il parcheggio però ci perdiamo un po', ce ne accorgiamo anche noi che occupiamo i posti in coda vedendo scorrere dal finestrino più volte lo stesso ponte sulla Vistola, il fiume che attraversa la città. Chiediamo aiuto ai poliziotti che, capendo la nostra situazione, ci autorizzano a percorrere strade del centro vietate al traffico.
L' ora è decisamente suggestiva, siamo prossimi al tramonto che già fa vedere i suoi riflessi sul fiume; fa freddo ma non troppo e la passeggiata all'aria aperta che ci apprestiamo a compiere è quanto mai gradita. La nostra prima meta è il palazzo reale di Wawel che vediamo scuro e massiccio ricevere gli ultimi raggi di sole sull'altura dove è posto. Una grande costruzione quasi nera toglie molto risalto al palazzo; Stefano, traducendo quanto dice Teresa, ci fa sapere che questa costruzione era una caserma ed è stata eretta dai tedeschi durante la loro occupazione di questa parte della Polonia. Vorremmo visitare anche la cappella che ospita le spoglie dei re polacchi, ma ormai siamo all'ora di chiusura; entrati nel grande cortile a tre ordini di portici sovrapposti, siamo pronti per fare un canto. Non abbiamo pubblico all'infuori dei nostri accompagnatori e di alcuni turisti inglesi. Eseguiamo "la pesca dell'anello"; l'acustica è straordinaria; una sorta di eco amplifica e dilata la sonorità.

Uscendo dal cortile rimango colpito ad ammirare gli ultimi raggi di sole che si insinuano attraverso la stretta apertura che sembra essere stata lasciata apposta dal costruttore della reggia.
Nel gruppo c'e un po' di fermento, molti vorrebbero fare acquisti, altri andare a prendere qualcosa di caldo. Arrivati nella grande piazza, fissiamo un punto ed un orario per ritrovarsi e via, senza guida e senza una meta precisa, alla scoperta del centro di Cracovia cercando ognuno di ricordare le poche indicazioni che ci erano state date durante il viaggio.
La piazza del Mercato Centrale è stupenda ed illuminata sapientemente, mettendo in risalto i particolari architettonici degli edifici e della maestosa
cattedrale della Beatissima Vergine Maria che è uno dei monumenti più antichi di Cracovia. L' esterno della cattedrale è caratterizzato da due torri che ne sovrastano la facciata; sono diverse l'una dall'altra, sia per la forma che per l'altezza. Storicamente la differenza fra le due torri è dovuta al diverso uso che ne veniva fatto, una, la più alta, nel medioevo, faceva la funzione di camera della guardia, l'altra, invece, era il campanile della chiesa. Molto più romanticamente, si narra che due fratelli erano in contesa nel tentativo di costruire la torre più alta. Per risolvere il problema, uno dei due fece uccidere l'altro, completò le torri e fece la sua più alta. Dal 1250, un trombettista si affaccia ad ogni ora ed esegue un breve brano che interrompe bruscamente; questo per ricordare l'assedio che allora i Tartari portarono a Cracovia e l'uccisione del trombettiere di guardia sulla torre colpito da una freccia degli assedianti.
C'è un gran via vai di persone che passeggiano per le vie del centro; le vetrine sono particolarmente ricche e del tutto simili, sia come marchi dei prodotti che per la loro quantità, ad una qualunque altra città europea. La Polonia sta facendo grandi passi per avvicinare la propria economia a quella degli altri paesi dell'Europa occidentale e qui a Cracovia è molto evidente.
Al centro della piazza del Mercato Centrale c'è il mercato coperto; molto caratteristico ma anche molto turistico. Mi aspettavo di trovare un ambiente più accogliente e meno commerciale, invece sono rimasto deluso; è anche questo un segno dell'occidentalizzazione.
Improvvisamente un suono di tromba rimbalza sulle facciate dei palazzi; mi sforzo ma non riesco ad individuare da quale finestra della torre provenga. Poi il suono si tronca improvvisamente e un movimento rapido, un riflesso di ottone dietro al vetro di una finestra che si sta chiudendo soddisfano la mia curiosità. Tornerò sicuramente a Cracovia.
Siamo già seduti al tavolo aspettando la cena, tutti stanchi dalla giornata ma soddisfatti. Vediamo entrare Walter con la fisarmonica intento a suonare un pezzo che ci fa sentire tutti come in un bistrot di Parigi. Inizia così la festa.
Mario Brunetti, il cantiniere scelto del coro, preleva dalla scorta sul pullman un certo numero di bottiglie di vino che, con la collaborazione dell'ottima birra, contribuiscono a creare la giusta atmosfera. Nicolò, che ha dei numeri da cabarettista, improvvisa uno spettacolo accompagnato da Walter alla fisarmonica, Giampaolo Guarino alla chitarra e suo fratello Michele a percuotere ogni cosa in grado di produrre un suono. Il repertorio proposto è arcinoto e un po' volgaruccio ma, trattandosi di improvvisazione, non è mai uguale una volta dall'altra per cui tutti rimaniamo coinvolti e il divertimento è assoluto.
Al momento di rientrare non tutti sono dell'idea ma, un po' a malincuore, saliamo sulla corriera; Nicolò e alcuni altri decidono comunque di restare a far baldoria rimandando la soluzione di come rientrare in albergo a più tardi.
Siamo sul pullman, abbiamo fame, la colazione ci aspetta. Non sappiamo a che ora della notte siano rientrati quelli che adesso sono in ritardo;
nessuno ha pensato di informarsi all'accettazione per sapere il numero della camera di Nicolò e Adriana. Finalmente ecco li arrivare, con facce da chi ha dormito poco ma si è divertito molto; il loro racconto sul proseguimento della festa mi fa rimpiangere di non essermi fermato.

AL SANTUARIO DELLA MADONNA NERA DI CZESTOCHOWA

Alle dieci posteggiamo la corriera nei pressi del colle sul quale sorge il santuario di Czestochowa. Ci accompagna il maestro
Janusz Muszynski all'interno del santuario. Alle undici accompagneremo con i nostri canti la messa nella cappella della Madonna Nera.
Ci sistemiamo nella cantoria posta sopra l'entrata principale dove si trova anche il grande organo; essendo la cappella in fase di restauro, siamo circondati da impalcature e sostegni, da uno spiraglio riesco a vedere sotto, è tutto pieno di fedeli. La messa che stiamo accompagnando viene trasmessa in diretta dalla radio polacca; è un grande onore per noi coristi.
Al termine della messa scendiamo per entrare nella parte sottostante della cappella. E' ancora gremita di persone, al di là di una cancellata riesco ad intravedere l'immagine della Madonna Nera. La maggior parte dei presenti è inginocchiato e prega; in piedi ci sono solamente i componenti la nostra comitiva e pochi altri. Sono molto colpito e imbarazzato, vicino a me sta inginocchiata una donna molto anziana, con un rosario in mano prega e sembra non vedere quello che la circonda e io non riesco ad inginocchiarmi ben che creda.
Dall'alto irrompe improvviso un suono di trombe e tamburi; la gente è come scossa da un impeto devozionale, io non capisco subito cosa stia accadendo; solamente avvicinandomi riesco a vedere un pannello dorato che scende accompagnato dalla musica a coprire l'immagine della Madonna fino a chiuderla. Allora cessa la musica. L'emozione e la suggestione cominciano ad impadronirsi di tutti noi; quando poi veniamo invitati a schierarci come coro alla base dell'
altare della Madonna Nera, temo dall'emozione di non riuscire a cantare. Non è così, anzi, presa la nota e iniziato "odo suonar", è stato come un liberare l'emozione, le note e le parole si sono susseguite legate le une alle altre fino all'applauso finale del numerosissimo pubblico di fedeli. Il padre guardiano della Cappella, a questo punto, invita i fedeli ad eseguire per noi un canto tradizionale natalizio. E' un momento di estrema commozione che io non riesco a nascondere.
Il Padre guardiano che ci ha invitato a cantare, ci lascia nelle mani di Sorella Teresita che, in modo un po' frettoloso, ci accompagna nella visita della Cappella, della
Cattedrale e del museo. Poi tutti a pranzo nella mensa del pellegrino. Intanto la giornata si è fatta splendida.

Alle quindici, sappiamo che viene riaperta l'immagine sacra e tutti ci affrettiamo per non mancare l'appuntamento. La Cappella si sta riempiendo, sono abbastanza vicino al presbiterio quando riparte il breve ma suggestivo concerto, eseguito da monaci del convento, che accompagna "l'apparizione" dell'immagine sacra. Questa volta sono riuscito ad inginocchiarmi ma, non capisco, la gente si muove; sempre inginocchiati una gran parte dei presenti compie un percorso che gira attorno all'altare maggiore durante il quale pregano e chiedono grazia.
A sorpresa il padre guardiano ci chiama a cantare di nuovo al cospetto dell'immagine scoperta della Madonna Nera; l'emozione è ancora più grande di prima, mentre canto sento questa presenza che dall'alto mi segue, è suggestione forse? No, per me è fede. Al termine della nostra esibizione, una cantante polacca esegue alcune calende, canti di origine popolare e tipicamente natalizi. Il Maestro ]anusz, uscendo, ci comunica che raramente viene concesso di esibirsi nel presbiterio della cappella del santuario, al nostro coro è stato dato il grande privilegio di poterlo fare ben due volte. Sono rimasto molto colpito da questa esperienza, lo è stato tutto il nostro gruppo e lo si può leggere nei volti che abbiamo uscendo da questo luogo sacro conosciuto in tutto il mondo.


KATOWICE

Riprendiamo il pullman e partiamo alla volta di Katowice dove siamo attesi al convento dei frati Francescani di Panewniki per accompagnare la messa delle diciotto.
La chiesa è di costruzione recente, molto grande e gremita di fedeli. Dietro l'altare maggiore c'è un grande presepio che occupa tutta la larghezza del presbiterio. Terminata la messa ci viene chiesto di eseguire alcuni canti del nostro repertorio. Ci schieriamo ai piedi dell'altare, pochissime persone hanno lasciato la chiesa al termine della messa per cui è ancora gremita; dopo aver superato brillantemente la prova emotiva dell'esibirsi a Czestochowa, ripeterci qui, nonostante il foltissimo pubblico, non ci crea problemi, anzi, è per tutti noi un'ulteriore prova in preparazione del concerto della sera successiva. Al termine della esibizione, foto di rito e visita ad un secondo presepio posto al di sotto dell'altare maggiore: si tratta di un presepe permanente, meccanico e con statue che, a grandezza naturale, raffigurano personaggi famosi del passato e del presente della Polonia, fra questi Papa Giovanni Paolo II.
La cena al motel è allietata da un trio di musicanti locali, sorpresa preparataci dal proprietario, che con fisarmonica, chitarra e tamburello ci suonano brani molto allegri sicuramente di origine popolare. Nasce così una sorta di amichevole competizione e collaborazione con i musicisti al nostro seguito; questa sera si può ballare e, nonostante i ridotti spazi, riusciamo a fare diversi giri di valzer.
Il vino, sempre proveniente dalla capiente pancia della corriera, assieme alla birra e alla vodka che le sveltissime cameriere non fanno mancare, rendono il clima ancora più festoso; tutti partecipano musicalmente cantando e percuotendo ogni cosa che riesce ad emettere un suono. La rottura di qualche tazzina e bicchiere non preoccupa, anzi, è segno di partecipazione attiva al concerto.
Al momento di rientrare all'altro albergo, qualcuno decide, come la sera prima, che la serata non deve finire lì e abbandona il resto della comitiva, destinazione una discoteca conosciuta dal figlio del padrone del motel. Qualcun altro si preoccupa per la puntualità del gruppo la mattina successiva che rischia di farci arrivare in ritardo all'appuntamento.
E invece, non dico che Nicolò è il primo ad uscire, ma poco ci manca; Adriana ha comunque preferito rimanersene a letto e raggiungerci nel pomeriggio a Tychy prima del concerto.
In pullman il clima è il solito; in coda il gruppo dei barzellettieri, che si è formato naturalmente durante il viaggio di andata, polarizza l'attenzione mentre, all'oscuro di tutto questo, davanti continuano ad aiutare con molto impegno il povero Marcello a sbagliare strada.


I CAMPI DI CONCENTRAMENTO NAZISTA

Stiamo andando ad Oswiecim, nome che durante l'occupazione nazista era stato trasformato nel tristemente famoso Auschwitz. Alla mia destra vedo scorrere le sagome scure delle
baracche del campo di Birkenau, quest'ultimo è collegato ad Auschwitz da tre chilometri di binari, che emergono come scheletri anneriti nella nebbia al di là del reticolato. Il clima all'interno del pullman sta cambiando, il tono della voce che usiamo è più basso, discreto e rispettoso.
La guida che ci prende in consegna ci parla in tono pacato, chiaro e quasi distaccato; è evidente fin troppo che deve essere così per non rimanere ogni volta coinvolto e trascinato nel vortice delle emozioni che ciò che sta raccontando gli suscita.
Mi sento pronto, mi sono preparato, documentato, ho visto film e documentari, parlato con ex deportati; quando mi trovo però a dover varcare quel confine ideale della memoria che è il cancello con su scritto
"arbeit macht frei", mi sento colpire allo stomaco, travolgere dalla commozione e dall'indignazione: Mi colpisce, al punto di chiederne spiegazione, il modo di esprimersi della guida che, confermandomi quello che ho sostenuto prima, controlla la sua emotività per far sì che il visitatore venga colpito da quello che egli dice e non da ciò che sente dentro. Questi, descrivendo ciò che qui avveniva, parla di tedeschi e di hitleriani e, mi spiega, la sua intenzione è proprio quella di differenziare il proprio modo di esprimersi a seconda che si riferisca a un popolo o ai carnefici.
Tutti rimaniamo travolti dalle sconcertanti immagini che le parole della guida generano nella nostra mente; Blok Smierci, il blocco della morte dove, fra i tantissimi, nei sotterranei è stato lasciato a morire il padre francescano polacco San Massimiliano Kolbe;
il muro della morte, di fronte al quale cantiamo con grande difficoltà. Il percorrere, sostare negli spazi che hanno visto l'annientamento fisico e morale di tante persone, voluto da altri e ancora oggi messo in discussione, mi angoscia, ma voglio andare avanti, sapere, conoscere tutto, anche nei minimi e più truci particolari, anche se questo non mi può comunque aiutare a capire perché tutto questo è potuto accadere.




DAL SINDACO A TYCHY E IL CONCERTO NELLA CHIESA DI S. CRISTOFORO

Alle sedici incontriamo nel municipio di Tychy il sindaco della città Andrei Dziuba e l'assessore alla cultura Ursula Nocon. Accompagna il nostro gruppo, in rappresentanza del comune di Gaggio Montano, l'assessore Cristian Fossoni. Si consuma così la parte ufficiale del nostro viaggio che dovrebbe portare ad un gemellaggio fra Gaggio e Tychy. Nella sala del consiglio comunale eseguiamo alcuni canti, una sorta di prova generale in vista del concerto della sera.
L'appuntamento è per le diciotto, alla chiesa di S. Cristoforo dove viene celebrata la messa dell'Epifania e dove, subito dopo, daremo apertura ufficiale alla decima rassegna di canti natalizi.
La chiesa di S. Cristoforo è moderna, concepita per ospitare un numero molto grande di fedeli. Ha una forma insolita, è a tre navate con una galleria che le ricopre quasi totalmente aumentandone molto la capienza complessiva. Le tre navate e la galleria sono tutte rivolte verso un punto equidistante dove è posto, su un piano rialzato da quattro gradini,
un grande altare maggiore.
Siamo in galleria, a fianco dell'organo e accompagniamo con i nostri canti la celebrazione della messa. Da qui non ci rendiamo conto del numero dei presenti; il tempo molto lungo che nella celebrazione è riservato alla comunione ci fa presumere che la chiesa sia gremita di persone.
Dopo esserci schierati sui gradini dell'altare maggiore, guardiamo verso la platea: tutti ci rendiamo conto che il numero dei presenti è superiore a quello che immaginavamo. Saranno duemila occhi che ci guardano e
aspettano la nostra esibizione. Iniziamo a cantare, qualche piccola indecisione caratterizza l'inizio ma poi tutto va per il meglio. Il primo applauso ci libera dall'emozione, ci guardiamo l'un l'altro con soddisfazione, ma non c'è tempo da perdere, il maestro da' già la nota di avvio del brano successivo. lo penso a Gigi Lenzi che deve fare la parte da solista e mi immagino la sua emozione nell'aprire la bocca per liberare la prima nota dell'assolo. Evidentemente non ha problemi perché la nota esce precisa e sostenuta dando a tutto il coro grande sicurezza. Quanti canti abbiamo fatto? Il pubblico non ha di certo compreso il significato delle parole, ma ha sicuramente apprezzato le armonie e la nostra esecuzione perché, al termine di "Bella ciao", si sono tutti alzati in piedi battendoci le mani. Accidenti, che emozione! Mi chiedo se potremo avere ancora la soddisfazione di esibirci per un pubblico così numeroso e motivato.
Siamo tutti molto euforici, la soddisfazione è evidente nei volti di tutti, già penso a quando potrò vedere le foto e il filmino e poter così rivivere questa emozione.

L' abbraccio del parroco, del maestro e quello simbolico dei presenti, suggellano la fine della nostra serata. Ci aspetta un rinfresco allestito dai componenti la corale "Pro Arte Ecclesiastica" nella canonica della chiesa. Salutiamo con commozione gli amici della corale rinnovando loro l'invito a ricambiarci la visita a Gaggio Montano. Un saluto particolare va' al maestro Muszynski, ad Anna Mayeherowicz che collabora con lui nella conduzione della corale e alla signora Teresa, sono loro gli artefici dell'organizzazione della nostra permanenza in Polonia e sono loro che dobbiamo ringraziare per avere avuto la possibilità di esibirci in luoghi esclusivi e per aver vissuto così intensamente questa esperienza.
Al rientro in albergo ci aspetta una sorpresa; il proprietario, per salutarci e dimostrarci tangibilmente l'intenzione di farci sentire come a casa nostra, ha allestito un buffet veramente speciale ricco di alimenti che per noi fanno parte della cucina quotidiana mentre in Polonia sono prelibatezze, fra questi il prosciutto di Parma. C'è anche un musicista con una tastiera che suona arie che ci invitano a ballare, non ci dispiace davvero di fare festa e l'abbiamo dimostrato chiaramente in questi giorni.
L'ospitalità che qui ci hanno riservato è a dir poco commovente; tornare a casa è necessario e gradito ma è anche vero che ognuno di noi porta a casa un ricordo molto bello e intenso di queste persone che hanno voluto farci sentire come in una casa accogliente. I sorrisi e i gesti cortesi sono stati sempre genuini e non segni di una costruita professionalità.
Tutti ai propri posti sul pullman, il viaggio di ritorno ha inizio, sono circa le due del mattino del sette gennaio. Il baule della corriera custodisce ancora cibi e bevande di conforto per il viaggio. Cantiamo, dormiamo, raccontiamo e ascoltiamo barzellette mentre la notte lascia spazio ad un giorno cupo e piovoso. Alle 19.30 il pullman entra in piazza a Gaggio.